Chi sta bussando alla mia porta? di Martin Scorsese (Usa, 1969)

La prima affascinante opera di Scorsese.

chi-sta-bussando-alla-mia-portaSi dice che per conoscere qualcuno basti ricercare nelle sue origini, frugare nei luoghi dove è nato, cresciuto e vissuto, per poi magari andare via e, qualche volta, non tornare mai più. E tale locuzione pare come un vestito su misura per l’esordio travagliatissimo in un lungometraggio di Martin Scorsese. Un’opera che ha avuto una genesi creativa e produttiva che abbraccia quasi un lustro. Il risultato è un’opera affascinante, in grado di dirci molto (a posteriori) sul percorso che sarà ed, altrettanto, a ricercare e trovare il talento straordinario di un uomo che fa rima con cinema. Totale e tale il suo amore viscerale per quest’arte strana e meravigliosa, in grado di far sì che i sogni e gli incubi, il presente, il passato ed il futuro possano essere parti di un medesimo percorso e giungere sino a noi, in un viaggio meraviglioso in grado di mettere in condizione di riconoscere un’emozione e preservarla dal tempo.

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Chi sta bussando alla mia porta? vede la luce a fine ’60, ancora si respirano i classicissimi film della Hollywood inarrestabile ed il divismo batte senza sosta. Ed ecco giungere la storia e la trama di questo italiano occhialuto, con sé porta tutto il suo vissuto. Direte, sai che novità. Ma qui non è tanto il cosa ma il come a fare la differenza. Scorsese mette in scena una storia semplice ed acida, la monta e la rimonta come guidato da un talento che stenta a trattenersi. La trama è tutta qui: Little Italy, tre giovani ragazzi perdigiorno si arrovellano su come sbarcare il lunario e le giornate (gli echi di Fellini si odono festosi). Uno di essi, J.R. (Harvey Keitel) un giorno incontra una ragazza. Lei non ha nome e non lo avrà mai. Da quel momento in poi seguiremo gli andirivieni di questa (non)coppia e le fughe di lui dai quotidiani affanni che la combriccola
di scavezzacollo gli porge, come un salvifico, impalpabile e men che meno duraturo momento di serenità. Lui dice di amarla, lei lo desidera ma lui è cattolico (al primo che mi parla di religione come semplificazione dell’umana vitae lo scotenno) e quindi vuole il matrimonio. Tutto cambia, all’improvviso. Sono i segreti ciò che rendono interessanti le vite di ognuno. Rivelarli all’uomo (od alla donna) che si ama può essere un gioco rischioso. E così sarà.

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Per svelarvi il perché ed il per come vi invito a recuperare questo esordio scintillante, cinefilo sino nell’animo e che si lega a Godard nel bianco e nero memorabile, a Cassavetes per una storia scostante e bellissima e, trovando, minuto dopo minuto, inquadratura dopo inquadratura,con un montaggio alternato ed incalzante, il senso compiuto di un regista baciato dalla grazia. Mischia i generi Scorsese, gioca con il tema e con noi (forse), donandoci i quei 90’ un excursus lungo le potenzialità del suo cinema che verranno. Documentario (taglio che apre e chiude il film), nouvelle vague con le bollicine di New York, dramma sociale e storia di amicizia, legami di nascita e di origine. Un film che merita di essere visto, rivisto o recuperato. Anche o soltanto per giungere a sussurrare che colui che sta bussando alla nostra porta di cinefili è uno degli autori che
hanno reso più grande e migliore la settima arte.

Marcello Papaleo

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